Imprenditoria
Cosa può imparare l’Italia dalla UK Black Powerlist 2026
Redazione Enprise Network Italia
27 ott 2025
Oltre la rappresentanza: quando la diversità diventa struttura economica.
Ogni anno nel Regno Unito, la Black Powerlist celebra le 100 persone nere più influenti del Paese, e recentemente si è svolta la decima edizione. Non è una semplice classifica: è un termometro del potere, dell’accesso e delle trasformazioni sociali che accadono quando un Paese riconosce il talento, indipendentemente dal colore della pelle.
L’edizione 2026 racconta un quadro preciso: la leadership nera in Gran Bretagna è ormai sistemica, non simbolica.
Non più relegata alla musica, allo sport o alla cultura, ma pienamente integrata nei settori chiave dell’economia — dalla finanza alla tecnologia, dalla consulenza all’imprenditoria.
I protagonisti del 2026
La Top 10 parla da sola.
Afua Kyei, Chief Financial Officer della Bank of England, incarna l’autorità economica al cuore del sistema finanziario britannico.
Tunde Olanrewaju, Managing Partner di McKinsey Europe, rappresenta la capacità di guidare la consulenza strategica del continente.
Pamela Maynard, Chief AI Transformation Officer di Microsoft MCAPS, mostra come i talenti neri stiano contribuendo alla rivoluzione tecnologica globale.
E poi figure come Emma Grede, cofondatrice di Good American e partner di SKIMS, o Dame Pat McGrath, fondatrice dell’omonimo impero cosmetico, che hanno trasformato creatività e identità in potenza economica.
Accanto a loro, nomi noti e amati come Steven Bartlett, imprenditore e voce generazionale, e Idris Elba, simbolo della contaminazione tra arte, impresa e filantropia.
Questa varietà non è casuale. È la dimostrazione di un ecosistema dove l’identità nera non è un’etichetta, ma una dimensione della competenza.
Le lezioni dietro la lista
Osservando la Powerlist nel suo insieme, emergono alcuni pattern chiari.
Il primo è l’accesso al capitale e alle istituzioni.
Molti dei protagonisti operano nella finanza, nella consulenza o nella governance globale. La finanza – in UK – è stata uno dei motori principali della mobilità sociale nera. È lì che il merito ha trovato spazio, anche se con ritardo.
Il secondo elemento è la presenza diffusa nei vertici delle multinazionali.
Da Apple a BP, da Google a Toyota, la diversità non è più confinata ai team HR o alle funzioni sociali, ma entra nei consigli direttivi.
In Italia, questo resta quasi impensabile: le aziende raramente associano la diversità alla strategia aziendale o alla leadership.
Un terzo tratto distintivo è la forza imprenditoriale.
Nel Regno Unito, l’imprenditoria afro-discendente è un motore di innovazione e identità. Brand come Marshmallow, Nala’s Baby o Chishuru uniscono cultura, impatto sociale e sostenibilità economica.
In Italia, dove l’ecosistema startup è ancora chiuso e poco inclusivo, questo modello rappresenta un orizzonte da esplorare.
C’è poi un aspetto culturale cruciale: la dimensione panafricana.
Molti protagonisti della lista uniscono radici africane e identità britannica. Questa doppia prospettiva — transnazionale e multiculturale — alimenta creatività, resilienza e una visione globale del business.
L’Italia, invece, resta ancorata a una mentalità nazionale che spesso esclude ciò che non rientra nei suoi confini identitari.
Infine, la Powerlist dimostra che l’inclusione di genere è parte integrante della crescita.
Circa un terzo delle persone selezionate sono donne: dirigenti, fondatrici, innovatrici. Non una rappresentanza simbolica, ma una presenza strutturale.
E l’Italia?
L’Italia non è priva di talenti neri o afro-discendenti.
Ma manca un ecosistema capace di valorizzarli.
Non esistono percorsi di mentorship strutturati, non c’è un network di investitori inclusivi, e la cultura d’impresa continua a riflettere un’immagine monocroma del successo.
In Gran Bretagna, le seconde generazioni hanno trovato accesso — seppur difficile — a borse di studio, venture capital, e reti professionali.
Questo ha permesso loro di entrare nei luoghi dove si decide il futuro.
In Italia, il discorso sulla diversità resta spesso confinato alla sensibilità culturale, non all’inclusione economica.
Eppure, la competitività del Paese dipenderà sempre più dalla capacità di integrare menti ibride, capaci di connettere Europa e Africa, innovazione e tradizione, locale e globale.
La visione di Enprise Network Italia

Come piattaforma che collega le due sponde del pensiero afro-europeo, crediamo che l’Italia possa – e debba – costruire la propria infrastruttura di diversità economica.
Non per imitare il modello britannico, ma per svilupparne uno adatto alla sua identità.
Uno dove le seconde generazioni, i professionisti afro-italiani e gli imprenditori con background migratorio non siano eccezioni, ma parte della normalità produttiva.
La UK Black Powerlist 2026 non è solo una lista di nomi.
È una dimostrazione che, quando il talento incontra accesso e fiducia, il colore della pelle smette di essere una barriera e diventa parte del capitale sociale.
L’Italia non manca di talento. Manca di accesso.
E forse, è proprio da lì che dovrebbe nascere la sua prima Powerlist.
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