Imprenditoria
L’economia creativa africana al centro dell'attenzione
Redazione Enprise Network Italia
10 nov 2025
L’economia creativa africana è pronta per un “salto di qualità”. Secondo esperti del settore, entro il 2030 le industrie creative del continente potrebbero generare oltre 20 miliardi di dollari l’anno e creare fino a 20 milioni di posti di lavoro, se si investe in politiche mirate e in sistemi di formazione adeguati.
Proprio per esplorare questa opportunità, Ananse Africa – una piattaforma nata per collegare stilisti e artigiani africani ai mercati globali – ha organizzato un webinar ad ottobre con leader del settore, educatori e imprenditori per ripensare la formazione dei giovani creativi.
Il fondatore di Ananse, Sam Mensah, ha spiegato che l’azienda, nata come mercato digitale, si è presto scontrata con ostacoli strutturali: la qualità dei prodotti, il marketing digitale, la logistica e la gestione dei flussi di cassa risultavano problematici per molti artigiani.
Persino imballaggio, spedizione internazionale e gestione degli ordini erano difficili da affrontare. Da qui la decisione di creare un centro di design a Lagos insieme alla Mastercard Foundation e di offrire formazione, attrezzature e mentoring in sei Paesi (Nigeria, Ghana, Kenya, Senegal, Costa d'avorio e Sudafrica), coinvolgendo soprattutto donne: il 70% dei creativi sulla piattaforma è infatti di genere femminile.
Sebbene il potenziale sia enorme, i dati mostrano anche il ritardo del settore: più del 70% dei creativi ha meno di 35 anni e oltre il 70% sono donne, ma il comparto vale “solo” 31 miliardi di dollari e potrebbe arrivare a 50 miliardi entro il 2030.
Oltre il 70% dei professionisti non esporta fuori dal proprio Paese e tre quarti ha competenze di e‑commerce solo di base; appena il 15% opera su piattaforme di commercio elettronico e solo 12 dei 55 Stati africani hanno una strategia nazionale per la creatività.
L’accesso alla formazione è concentrato nelle grandi città come Lagos e Johannesburg; nelle zone rurali, soprattutto per le donne, l’uso di internet rimane limitato (39% contro il 50% degli uomini) e il costo dei dati può raggiungere il 5% del reddito mensile.
Gli accademici sottolineano che servono competenze imprenditoriali solide. Lauren England del King’s College di Londra osserva che gli studenti di moda devono imparare a gestire budget, flussi di cassa e obblighi fiscali per trasformare la creatività in impresa.
Rita Ngenzi, che guida l’Africa Creative Alliance, ribadisce che la formazione “ha senso solo se ancorata a sistemi concreti e collegata al mercato”, puntando su hub e incubatori come piattaforme condivise.
Oltre alle competenze, serve collaborazione. Bayo Omoboriowo, fondatore di Tikera Africa, critica la “sindrome del risultato rapido”: governi e investitori ricercano successi immediati lasciando indietro intere comunità.
Iniziative come l’incubatore Madhouse dell’Università di Lagos e il programma “Weaving Futures” mettono in contatto giovani innovatori urbani con artigiani rurali – spesso donne – per trasferire competenze e “domesticare” lo sviluppo delle abilità.
In questo scenario, progetti filantropici giocano un ruolo determinante. La Tony Elumelu Foundation ha formato e finanziato oltre 21000 imprenditori in 54 Paesi africani, distribuendo più di 100 milioni di dollari; secondo il direttore operativo Hakeem Onasanya, l’iniziativa ha creato 1,5 milioni di posti di lavoro e contribuito a far uscire due milioni di persone dalla povertà.
Ma come segnala Isa E. Omagu della Bank of Industry nigeriana, settori come moda, design, cinema, gaming e contenuti digitali, seppur già importanti in termini di occupazione giovanile, restano frenati da ecosistemi formativi sottosviluppati, infrastrutture digitali deboli, finanziamenti frammentati e scarso accesso ai mercati globali.
Per sbloccare il potenziale, dice Omagu, l’Africa deve trasformare la creatività informale in imprese scalabili e pronte per l’esportazione attraverso innovazione, formazione e politiche coordinate.
L’afroindustria culturale africana, insomma, offre un’opportunità economica e sociale senza precedenti. Per coglierla, non basta celebrare i successi: occorre investire in infrastrutture, e‑commerce, mentori e comunità per fare in modo che il talento e l’ingegno non restino confinati nei mercati locali.
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